пятница, 22 апреля 2011 г.

PER ESSERE FELICI CI VUOLE CORAGGIO (Karen Blixen)

Se è vero che per soffrire, per patire, per affrontare i dolori, i drammi, le disgrazie ci vuole coraggio, perchè mai anche per essere felici è indispensabile? Non è una forzatura? Un esagerato paradosso?
No. La felicità esige davvero coraggio ed il coraggio che essa richiede ha, inoltre, varie sfumature.
Può indicare il desiderio di andare contro tendenza, di volersi smarcare dai molti cantori del grigiume e della desolazione. Nefaste Cassandre, pare quasi si dilettino a cantare il De Profundis ad ogni barlume di positività pronosticando, se non auspicando, un destino sempre peggiore per l’uomo e per il mondo.
C’è poi il coraggio di alzare la testa dalla quotidianità ad una dimensione, di smettere di indossare gli occhiali del pessimismo ed iniziare a ritornare ad apprezzare il piccoli piaceri della vita di tutti i giorni, per compiere il reincantamento indispensabile ad imparare di nuovo a guardare oltre, a scoprire il bello nel normale, a vedere il mezzo pieno e non solo il mezzo vuoto, la felicità invece delle sofferenze, delle sciagure, dei dolori, delle disgrazie.
C’è poi un coraggio che diventa una sfida nei confronti delle difficoltà, delle congiunture sfavorevoli, del fato avverso, delle malattie: è l’espressione di una forza immane presente in ciascuno di noi che ci dà l’energia per combattere, per continuare, per continuare a sperare ed a cercare la felicità o i suoi brandelli da ricucire in un prezioso tessuto esistenziale.
Il coraggio richiesto non è, però, solo a priori, propedeutico rispetto all’esperienza della felicità ma è anche a posteriori.
Lo è in quanto chi prova ed ottiene la felicità, deve essere disposto anche a pensare di poterla perdere, deve essere consapevole che ci sia l’eventualità di ritornare allo stato precedente di indifferenza o di infelicità.
Il coraggio è, dunque, di mettere in conto anche una simile ipotesi e di riuscire ad affinare, preventivamente, una serie di antidoti e di espedienti che riescano a rievocare la, seppur pallida, immagine della felicità anche in sua assenza.  
Si tratta di un palliativo, di una pseudo-compensazione che, però, evita la depressione. L’aborto della felicità, così come l’aborto dello stato nascente, gettano di nuovo l’uomo nella piatta routine che, una volta intravista la luccicante, sfavillante, colorata alternativa, rischia di divenire insopportabile.
Il coraggio domandato dalla felicità è, dunque, anche la consapevolezza che, dopo aver faticato tanto per raggiungerla, potremmo di nuovo perderla dovendo così, ricominciare da capo nel lungo percorso di avvicinamento.
Il coraggio che ci vuole per essere felici è, quindi, in un certo senso, il coraggio di vivere, di accettarci per ciò che siamo, per accettare che non tutti i nostri desideri si possono realizzare, di apprezzare quanto di buono ci è offerto capaci di guardare in alto, di sperare, di sognare, di desiderare, ma senza staccare i piedi da terra.

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